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Difesa ed ESG: perché tutti ne parlano e cosa c’è davvero in gioco



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Una questione delicata ma nello stesso tempo urgente per il mondo della finanza sostenibile: come gestire il rapporto tra difesa e ESG alla luce di uno scenario che sta portando a un aumento delle spese militari

Pubblicato il 8 mag 2025

Aliénor Legendre

Research Associate di MainStreet Partners



Difesa e ESG
Aliénor Legendre, Research Associate di MainStreet Partners

Negli ultimi mesi, il mondo della finanza sostenibile si è trovato ad affrontare una questione delicata quanto urgente in relazione al rapporto tra difesa e ESG: ovvero se e come il settore della difesa può essere compatibile con i criteri ESG?

Una domanda che fino a poco tempo fa sembrava impensabile oggi è al centro di un dibattito che coinvolge investitori, regolatori e asset manager in tutta Europa. Se da un lato permangono forti barriere etiche e normative, dall’altro il nuovo contesto geopolitico impone una riflessione più pragmatica su sicurezza, resilienza e investimenti responsabili.

Armi convenzionali o controverse? Il nodo regolamentare nel rapporto tra difesa e ESG

Il primo aspetto da chiarire è la distinzione tra armi convenzionali e armi controverse.

Le armi controverse – una categoria che comprende armi nucleari, chimiche, biologiche, mine antiuomo e bombe a grappolo – sono vietate da trattati internazionali e sistematicamente escluse dagli investimenti ESG per ragioni legali e umanitarie.

Le armi convenzionali, invece (carri armati, velivoli militari, armi da fuoco), non sono soggette a divieti normativi, ma sollevano comunque dubbi etici, soprattutto quando vengono vendute a Paesi coinvolti in conflitti.

Il regolamento SFDR Sustainable Finance Disclosure Regulation, attraverso l’indicatore PAI 14, richiede esplicitamente trasparenza riguardo l’esposizione ad armi controverse ma lascia margini di interpretazione per le armi convenzionali.

I dati: difesa e ESG, una convivenza possibile?

Secondo un’analisi di MainStreet Partners, il 28% dei fondi ESG valutati risulta investito in aziende attive nella difesa convenzionale. Di questi, il 18% è classificato come Articolo 8 e l’1% come Articolo 9, mentre il restante 9% è composto da fondi Articolo 6 o non classificati.

Nel Regno Unito, la percentuale sale al 32% tra i fondi ESG, un segnale chiaro che l’interesse verso il settore cresce, nonostante le complessità normative.

L’ostacolo si chiama DNSH

Uno dei principali ostacoli è rappresentato dal principio del “Do No Significant Harm” (DNSH), integrato sia nella SFDR, sia nella Tassonomia UE.

L’intero comparto difesa è escluso dalla Tassonomia: il che non implica necessariamente che sia dannosa per l’ambiente ma impedisce alle attività del settore di essere classificate come sostenibili.

Nel caso della SFDR, il DNSH si applica a livello aziendale e può essere interpretato in modi diversi: alcuni investitori escludono solo le armi controverse, altri applicano criteri più rigidi, eliminando qualsiasi azienda coinvolta in controversie, anche in assenza di violazioni accertate.

ESG non è sinonimo di investimento etico

Un punto spesso trascurato nel dibattito è la differenza tra integrazione ESG e investimento etico. L’ESG non è una valutazione morale ma un approccio alla gestione del rischio. L’esclusione di un intero settore non è una conseguenza automatica dell’analisi ESG quanto piuttosto una scelta che può derivare da politiche d’investimento o da obblighi normativi.

È per questo che, sebbene molti fondi continuino a escludere la difesa, altri iniziano a riconsiderarne il ruolo alla luce delle nuove priorità in termini di sicurezza.

Serve un approccio più sfumato tra ESG e difesa

Secondo diverse società dell’asset management è arrivato il momento di pensare a strumenti come i “Defence Bonds”, che permettano di finanziare in modo responsabile alcune attività legate alla sicurezza, distinguendo tra comparti potenzialmente allineabili alla sostenibilità (come la cybersicurezza o le tecnologie avanzate) e altri meno compatibili.

Anche alcuni governi europei, come Regno Unito, Finlandia e Polonia, stanno rivedendo le posizioni storiche in tema di esclusioni, aprendo la strada a un cambiamento di prospettiva.

La sicurezza è parte integrante della sostenibilità

Il concetto di sostenibilità non può prescindere dalla sicurezza. Senza pace e stabilità, non è possibile raggiungere nessun obiettivo ambientale o sociale. Eppure, ad oggi i principali framework ESG non considerano il ruolo della sicurezza come elemento chiave.

In questo contesto, fornitori di dati ESG come MainStreet Partners hanno un ruolo cruciale: analizzando l’esposizione ad aziende del settore difesa, la società valuta i rischi di controversie e fornisce punteggi ESG completi. Ad esempio:

  • Leonardo, società italiana a controllo pubblico attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, mostra buone performance ambientali, politiche di riduzione delle emissioni e trasparenza nei processi di due diligence;

Serve chiarezza normativa, non esclusioni assolute

Per concludere, il settore difesa non può essere considerato sostenibile secondo i criteri della Tassonomia UE. Tuttavia, non tutte le attività legate alla difesa sono incompatibili con un approccio ESG.

Per affrontare il futuro con maggiore consapevolezza, è necessario fornire agli investitori strumenti normativi più chiari, capaci di distinguere tra ciò che può essere incluso in una strategia sostenibile e ciò che deve restarne fuori. Un approccio integrato tra sostenibilità e sicurezza è ormai essenziale per guidare le scelte di investimento responsabile.

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