FASHION & ESG

Sostenibilità: imperativo globale per i fashion brand

Il Covid-19 ha creato un aumento nelle aspettative dei consumatori riguardo l’attenzione alla sostenibilità da parte delle aziende del fashion. I brand del settore devono adattarsi alle nuove esigenze del mercato per non perdere potere sul mercato.

Pubblicato il 13 Mag 2021

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La crisi sanitaria legata alla Pandemia da Covid-19 ha intensificato l’interesse dei consumatori verso il tema della sostenibilità, soprattutto in ambito Fashion, mettendo sotto la lente i grandi brand della moda. Nel 2020 moltissimi consumatori, anche i più fedeli, hanno optato per marchi nuovi, più eticamente e socialmente impegnati, trasformando la sostenibilità in un vero e proprio elemento distintivo e di competitività.

Proprio su questo, una recente analisi di McKinsey ha messo in evidenza come il 75% dei consumatori americani abbia cambiato le abitudini di consumo durante i primi lockdown dovuti dalla pandemia, anche a causa dei ritardi delle spedizioni, acquistando articoli di brand che fino ad allora ignorava, e indebolendo così la customer loyalty. Se queste consuetudini diventassero permanenti, potrebbero addirittura mettere rischio le strategie dei brand che hanno fondato il loro business sulla fidelizzazione del cliente.

A queste riflessioni si aggiungono i risultati dei sondaggi tenuti dall’E.ON’s Renewable Returns report, secondo il quale il 72% degli utenti che hanno partecipato vuole sapere se un’azienda porta avanti attività sostenibili, e il 65% è attento all’effetto che prodotti e servizi comprati possono avere sull’ambiente, dichiarandosi anche disposti a spendere maggiormente per prodotti più ecosostenibili.

Fashion brand più attenti all’ambiente

È evidente, quindi, che i brand oggi devono essere più attenti all’ambiente e dimostrare come lo fanno: lo devono ai clienti, che ora hanno piena visibilità delle catene del valore dei prodotti che acquistano, e anche agli enti dedicati che si assicureranno che quello che le aziende dichiarano si concretizzi.

Luca Tonello, Sales Director di Dedagroup Stealth

Anche per i brand dal DNA green, non è semplice essere sostenibili. I marchi della moda che stanno attivamente cercando di seguire una linea di business più sostenibile, spesso operano in modo frammentario, mentre è necessaria una visione completa sull’intero ciclo di vita del prodotto: dal design, all’approvvigionamento, alla produzione, arrivando a coinvolgere le fasi di spedizione, retail e wholesale fino allo smaltimento, il riuso o il riciclo. Solo questo permetterà ai brand di abbracciare una strategia circolare, che è il passo successivo alla sostenibilità – e che si può riassumere con la domanda “come possiamo pensare e agire fin dal principio per evitare sprechi in ogni singolo step della catena del valore, prima che diventi un serio problema”? Queste riflessioni hanno portato alcuni brand ad accogliere nuovi modelli di business integrando soluzioni contro lo spreco, come il second-hand o il rental, che sembrano alternative sempre più richieste ed apprezzate dai consumatori. eBay dichiara che dal 2018 c’è stato un incremento su base annua del 404% sull’acquisto di capi di seconda mano e che, nel 2020, 66 milioni di articoli hanno trovato un nuovo proprietario.  Per quanto riguarda il rental, il mercato globale online ha raggiunto un valore di 1.26 miliardi di dollari nel 2019, secondo quanto afferma Research & Markets, e si prevede arriverà a 20.8 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso medio di crescita annuo dell’8.7% in 5 anni.

La scelta del Fashion Pact

Non stupisce quindi che più del 20% dell’industria Fashion mondiale abbia scelto di aderire al Fashion Pact, dando voce ad una fondazione che ha definito i cosiddetti “obiettivi di sviluppo sostenibile”, fissati durante una conferenza delle Nazioni Unite e cruciali nella definizione di strategie a difesa dell’ambiente e del pianeta (Clima, Biodiversità e Oceani).

A questo su unisce anche la Sustainable Apparel Coalition, fondata nel 2009 da Walmart e Patagonia, che ha dato vita agli HIGG Index, una serie di indici che consentono ai brand della moda di misurare e valutare le loro performance di sostenibilità. Oggi SAC conta più di 200 partecipanti provenienti da 35 paesi e con un fatturato complessivo pari a 500 miliardi di dollari.

Tuttavia, per raggiungere i più elevati livelli di sostenibilità, nonché di crescita e profitto che questo può generare, è complesso e richiede, oltre ad una fondamentale capacità di visione, anche il supporto delle più innovative tecnologie. Il carico di dati ed analisi attribuiti alla sostenibilità è immenso e necessita di soluzioni avanzate per il loro governo, che supportino le aziende a tracciare ciò che i processi gestiscono, per dare conto con estrema trasparenza al mercato e a tutti gli stakeholder di quello che avviene lungo tutta la filiera di produzione e fornitura.

Il ruolo dell’ERP per la sostenibilità nel fashion

Per queste ragioni oggi gli ERP (Enterprise Resource Planning) più evoluti rappresentano la tecnologia ideale proprio per la loro capacità di raccogliere informazioni da più fonti e consolidarle in maniera significativa, in modo che abbiano un reale valore analitico ed informativo.

Parliamo di piattaforme software in grado di certificare il dato. Lo storicizzano, lo tracciano, lo rendono disponibile e recuperabile nel tempo e, soprattutto, “auditabile”. Un indice di sostenibilità archiviato e catalogato è un’informazione concreta e preziosa, ma se poi non si collega in modo diretto con acquisti, stock e processo produttivo, rimane un’informazione parziale e di per sé incompleta.

Questo nuovo processo di analisi coinvolge misurazioni e raccolte dati anche di nuove aree considerate fino a poco tempo fa secondarie, come, ad esempio, le materie prime, le cui informazioni sfuggono quasi sempre ai retailers che comprano direttamente dai produttori, perdendo ogni visibilità sulle varie fasi della manifattura.

Una volta che le performance di sostenibilità saranno completamente integrate nei sistemi IT, i brand potranno cominciare a mettere in atto concretamente attività e strategie che creino valore non solo per i consumatori, i partner e gli stakeholder, ma anche per il business stesso, con una struttura di audit interno condivisa e aumentando, di conseguenza, il proprio vantaggio competitivo nella consapevolezza che gli impegni sociali e ambientali soddisfano le esigenze di tutti. Inoltre, queste nuove politiche possono contribuire a identificare e definire obiettivi aziendali chiari e immediatamente misurabili. Se un KPI per il direttore di produzione è diminuire di dieci punti l’indice di sostenibilità, ecco che grazie a questi sistemi ciò risulta tracciabile e misurabile.

Tutto questo, infine, guardando oltre i processi aziendali, può davvero contribuire a generare anche una nuova cultura di sostenibilità nelle persone interne all’azienda e a tutti i livelli. Semplificando, ad esempio, i responsabili di prodotto e di produzione possono controllare l’indice di sostenibilità di ciò che stanno facendo sentendosi protagonisti attivi del cambiamento.

Tracciabilità e comunicazione trasparente

E infine, dotarsi oggi di strumenti in grado di supportare la tracciabilità e la comunicazione trasparente dei processi, significa essere pronti nel momento in cui anche il grande pubblico sarà in grado di comprendere quanto il prodotto acquistato risponde a determinati parametri e indici. Se infatti nel campo degli elettrodomestici ormai sappiamo tutti cosa significa “AAA” o “AA”, nella moda un’etichetta “indice di sostenibilità 68” non comunica ancora nulla alle persone. Tuttavia, verrà il giorno in cui l’attenzione dei brand al tema sostenibilità porterà alla definizione di un indice conosciuto e condiviso, che mercato e consumatori riconosceranno. A questo bisogna prepararsi.

Immagini fornite da Shutterstock

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