Interventi

Epifani: “non si può parlare di sostenibilità se non c’è un impatto sul modello di business”

A colloquio con il presidente della Fondazione per la sostenibilità digitale e autore del libro “Perché la Sostenibilità non può fare a meno della trasformazione Digitale”: occorre superare i freni che arrivano da una visione ancora ideologica della sustainability e capire che per le imprese si apre un percorso verso nuove forme di generazione di valore sostenibile

Pubblicato il 25 Feb 2022

Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, Direttore di Tech Economy 2030, autore del libro "Sostenibilità Digitale"

Sino a qualche tempo fa, quando si affrontavano i temi della sostenibilità si aveva la sensazione di trattare un argomento importante ma che, tutto sommato, riguardava altri. Per quanto non siano mai mancati i segnali di urgenza la percezione più comune era poi quella di un fenomeno collocato in un futuro imprecisato. L’incontro con l’autore di “Sostenibilità digitale”, Stefano Epifani, parte da qui, dal senso di responsabilità e dalla necessità di cancellare qualsiasi equivoco sul fatto che “la sostenibilità è adesso”. Dalla conversazione appare chiaro che siamo anzi in ritardo e non serve “lambiccarsi” il cervello sui valori etici della sostenibilità e sulla relazione con la cultura. Il tempo stringe e occorre guardare alla sostenibilità in modo pragmatico, liberandola dalle connotazioni ideologiche e dalle interpretazioni etico-valoriali per restituirle oggettività e concretezza. In questo senso, se guardiamo alla sostenibilità con gli occhi di cittadini e consumatori non possiamo non vederla come una componente fondamentale del nostro comportamento quotidiano, in tutte le nostre decisioni e abitudini. Se invece guardiamo alla sostenibilità con gli “occhi” del business, allora occorre alzare lo sguardo rispetto ad alcuni luoghi comuni che hanno reso un po’ troppo semplice questo rapporto perché, come ci spiega Epifani, “non si potranno mai raggiungere obiettivi veri di sostenibilità, se questa non entrerà a far parte integrante del modello di business di ciascuna impresa”.

Ma accanto al senso di urgenza e di responsabilità che ci vede tutti protagonisti di questa trasformazione, Stefano Epifani ci invita a vedere, anche nella sua veste di presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, il ruolo determinante del digitale e i tanti strumenti che sono a disposizione delle imprese per contribuire a vincere questa sfida. E nel libro  “Perché la Sostenibilità non può fare a meno della trasformazione Digitale” (qui per maggiori informazioni e per acquistarlo) ci mette anche a disposizione indicazioni molto chiare e precise sul ruolo dell’innovazione tecnologica e sulle potenzialità del digitale: dall’IoT alla Blockchain, dall’Intelligenza Artificiale al Cloud da mettere al servizio della sustainability.

Cerchiamo di cancellare qualsiasi equivoco e partiamo dal concetto stesso di sostenibilità, perché c’è ancora confusione?

Perché non è ancora chiaro e condiviso il vero significato del concetto di sostenibilità e perché l’impatto che sta avendo sulle aziende dipende da molteplici fattori. Ci sono i driver di mercato e c’è la matrice culturale e professionale di chi è chiamato a occuparsene e ci sono le normative e gli adempimenti. Accade spesso che si crei confusione tra i concetti di Corporate sustainability e Corporate social responsibility. La CSR è un pezzo della sostenibilità, è importante senza dubbio, ma è solo una parte. In tante aziende, per tante ragioni, questa distinzione ancora non avviene e si confonde l’impegno ambientale con progetti facili da comunicare come l’eliminazione della plastica dai distributori automatici, l’introduzione di bottigliette di alluminio per i dipendenti, l’impegno per piantare alberi.

Quale deve essere il salto di qualità per le aziende?

Va detto chiaramente che se la sostenibilità non arriva a impattare sul modello di business delle aziende non è sostenibilità. Sostenibilità vuol dire ripensare il valore delle imprese, i modelli organizzativi, la supply chain, la relazione con i clienti e con i partner. Non basta ridurre consumi o utilizzare energie rinnovabili: occorre ridisegnare la catena del valore comprendendo il valore e i costi legati alla sostenibilità.

Vuol dire cambiare il concetto di valore delle imprese?

Raggiungere obiettivi di sostenibilità significa cambiare la composizione del valore nel quale si riconosce un’azienda, significa comprendere e misurare tutta la dimensione intangibile, che tipicamente non entra a far parte del valore classico delle società. In questo senso, se non si riesce a trasformare gli asset intangible dell’impatto ambientale e sociale in asset tangible, costituiti da numeri e metriche condivise, rischiamo di parlare solo di aria fritta.

Le regole non mancano, come bisogna gestirle?

Occorre evitare di cadere, come spesso accade, in una maniacale rincorsa alla compliance. La sostenibilità non può essere interpretata come l’adeguamento dell’organizzazione aziendale a nuove regole. Se si pensa ai modelli del Total Lifecycle Assessment alcune aziende chiedono addirittura la composizione dei materiali delle scrivanie su cui si siedono i dipendenti perché, almeno in teoria, sia tutto adeguato ai parametri della sostenibilità. Questo atteggiamento rischia di vanificare quanto di buono viene fatto e allontana anziché avvicinare alla sostenibilità. Nel tentativo di misurare tutto, perdiamo di vista il valore di ciò che dovremmo misurare davvero: che è il rapporto tra il modello di business e gli SDGs.

Quali sono i principi essenziali, quelli che non possono mancare?

Qualsiasi azienda che vuole affrontare in modo strategico e strutturale la sostenibilità deve saper rispondere a tre precise domande:

  1. Quali sono gli elementi della catena del valore che impattano sulla sostenibilità?
  2. Su quali obiettivi di sviluppo sostenibile impatta il mio business?
  3. Quali sono gli impatti della sostenibilità sul mio modello di business?

Per questo processo servono dei punti di riferimento comuni: che ruolo svolgono di SDGs?

Fondamentale, ma anche qui occorre sempre muoversi con spirito critico. Negli ultimi due anni è iniziata la rincorsa a una sorta di compliance anche rispetto agli SDGs. Il problema è che molte di queste aziende si approcciano agli SDGs ancora una volta come a un adempimento mentre è necessario guardare alla sostenibilità per quella che è la sua dimensione più importante: quella di sistema complesso.

Il rapporto tra SDGs e imprese non è comunque facile, come si traducono i 17 obiettivi fissati dalle Nazioni Unite in indicazioni per le aziende?

Spesso le aziende guardano a singoli SDGs in maniera atomica dimenticando che, in realtà, sono intrinsecamente connessi. Gli SDGs non sono ordinati a caso, il primo è propedeutico rispetto agli altri 16 e via dicendo. Qualsiasi organizzazione deve guardare agli SDGs in maniera sistemica. Va detto che da una parte le aziende hanno compreso la funzione dell’Agenda 2030, ma purtroppo non hanno ancora capito come ispirare le proprie attività a questa Agenda, non hanno ancora rivisto il loro modello di business. Ed è proprio qui che si inserisce la tecnologia.

Si dice che non c’è sostenibilità senza innovazione digitale, ma cos’è che ancora non ha ingranato in questo rapporto?

Non si può continuare a guardare alla tecnologia facendosi guidare da modelli come il DNSH (Do Not Significant Harm: principio in base al quale gli interventi previsti dai PNRR nazionali non arrechino danni all’ambiente). Partire da una logica in cui l’obiettivo è quello di non fare danni ci dice quanto poco sia stato compreso il ruolo della tecnologia. Allo stesso tempo occorre superare anche il concetto di twin transitions in cui si parla di sostenibilità e di tecnologia come di due transizioni gemelle. In realtà sono due facce della stessa rivoluzione, in cui troviamo la sostenibilità ambientale, sociale ed economica che interagiscono con l’elemento digitale in maniera complessa. In altre parole, la tecnologia deve essere sostenibile in sé e deve essere uno strumento di sostenibilità.

Entriamo nel merito del rapporto tra innovazione e sostenibilità: come si inquadra il ruolo del digitale?

Se focalizziamo l’attenzione sui quattro approcci alla sostenibilità: ecocentrico forteecocentrico ma orientato alla conservazione delle risorsetecnocentrico forte e tecnocentrico orientato alla gestione delle risorse e se escludiamo gli estremi “forti”, le due dimensioni “centrali”, orientate alla conservazione delle risorse, ci dicono che abbiamo di fronte due elementi che non esprimono una intrinseca valutazione positiva o negativa e questo è il punto chiave.

Occorre procedere verso il superamento di un valore etico per la sostenibilità?

Diciamo la liberazione della sostenibilità da qualsiasi connotazione ideologica e l’autonomia da qualsiasi dimensione etico-valoriale, perché la questione della sostenibilità è eminentemente tecnica. Tutti i discorsi sulla sostenibilità sono spesso influenzati da una visione ideologica che ci porta a scegliere strade spesso impercorribili senza riflettere sulla reale dimensione tecnica e operativa dei problemi che si affrontano. Bisogna rendere oggettivi i valori della sostenibilità e in questo il digitale offre una grande opportunità: da una parte permette di abilitare i processi di trasformazione, come nel caso della transizione energetica o industriale, e nello stesso tempo permette di ragionare anche dal punto di vista dell’impostazione sociale, rispetto a percorsi di accentramento e decentralizzazione.

Il digitale deve portare le imprese ad avere un approccio olistico verso la sostenibilità?

Occorre considerare tutti i fattori, tutti gli asset, tutte le variabili se si vuole indirizzare lo sviluppo tecnologico sulla base di criteri di sostenibilità. Se si guarda ad esempio all’economia delle piattaforme occorre valutarle in termini di sostenibilità sociale e non solo ambientale o economica. In questo processo di trasformazione è necessario analizzare l’impatto complessivo. Se poi guardiamo nello specifico all’etica ci troviamo di fronte a problemi che sono funzionali al tempo e alla cultura con cui si esprimono giudizi. La sostenibilità al contrario è per definizione qualcosa che deve guardare al futuro in termini intergenerazionali e in quanto funzione di sistema non può essere relativa alla cultura locale. Riusciremo a vincere la sfida della sostenibilità quando la libereremo da qualsiasi forma di ideologia.

Proviamo a spiegare meglio questo punto

Qualsiasi dimensione ideologica ammette un contrario, è aperta a un contraddittorio ed è intrinsecamente nemica di una dimensione di sistema. Lo vediamo anche nelle nostre scelte: si sollecitano i consumatori a scegliere cosa acquistare in funzione del fatto che chi produce dichiara di essere sostenibile, mentre non siamo stimolati a cambiare i nostri comportamenti. Si pensa erroneamente che si possa risolvere il problema invitando a comprare prodotti che si dichiarano sostenibili, ma c’è una quantità enorme di persone che pur potendo effettuare scelte con cui si riduce l’impatto ambientale, non lo fanno. Ed è qui che devono entrare in gioco i fattori di cui abbiamo parlato prima: il digitale e la necessità delle aziende di modificare i propri modelli di business con un coinvolgimento di tutte le filiere e di tutti gli attori. Questo significa qualcosa di più che informare il consumatore, che offrirgli l’opportunità di essere sostenibile, significa premiare i comportamenti responsabili.

Ad esempio?

Un esempio banale: gli asciugamani negli alberghi. Gli albergatori cercano di scaricare sui clienti un risparmio derivante dal non doverli cambiare quotidianamente spacciandolo per responsabilità ambientale, mentre i clienti sono convinti che il cambio quotidiano sia un diritto acquisito in quanto “incluso nel prezzo”, scaricando il costo della sostenibilità ambientale all’albergatore. Insomma: tutti pensano che sia un problema di qualcun altro. Quando basterebbe condividere il “costo” e l’eventuale “risparmio” derivante da scelte sostenibili. Basterebbe che l’albergatore dicesse: Vuoi essere sostenibile? Tieni i tuoi asciugamani un giorno in più, ed acquisirai anche il diritto ad una consumazione gratuita. Risultato? Tutti contenti: l’albergatore che risparmierebbe rispetto al cambio degli asciugamani (che costano di più di una consumazione), il cliente, l’ambente.

“Dobbiamo smettere di pensare che il problema della sostenibilità sia di qualcun altro”: occorre forse trasferire questo principio anche a livello di ripensamento dei modelli di business?

Sì e non è facile, ma occorre avere contezza che si apre anche un enorme serie di opportunità. Bisogna smetterla di pensare con il codice mentale della compliance e passare a quello dell’innovazione imprenditoriale. Pensiamo al fatto che in questo scenario ci sono produttori che possono diventare sustainability enabler: non è più necessario dichiarare la composizione dei materiali delle attrezzature che si utilizzano, perché chi le ha prodotte è anche in grado di garantire della loro sostenibilità. E deve farlo. Ci sono “componenti” di sostenibilità che arrivano da tanti attori, in modo coordinato e responsabile e concorrono alla generazione di un nuovo valore. Occorre fare attenzione che questo percorso non si trasformi in nuove forme di deresponsabilizzazione, di delega sulla sostenibilità, ma questo non avverrà se la sostenibilità entrerà veramente a far parte del core business delle imprese. Ed in questo la tecnologia ha ed avrà un ruolo sempre più centrale.

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