“Aristide Merloni, fondatore di Ariston Group, già nel 1967 diceva che non c’è valore senza progresso sociale. È la dimostrazione che i valori della sostenibilità sono nel nostro Dna”. A parlare è Chiara Ticchi, Esg Director di Ariston Group, multinazionale italiana attiva nel campo del riscaldamento dell’acqua e dell’ambiente, presente in più di 40 Paesi, che conta su 29 siti di produzione su scala globale, con altrettanti centri di ricerca e sviluppo.
Nel 2023 l’azienda ha registrato ricavi per 3,1 miliardi di euro e un utile netto di 191 milioni, con un +36,3% rispetto all’anno precedente. Nel suo percorso verso la sostenibilità, delineato anche attraverso il piano strategico “Road to 100”, che accompagnerà l’azienda alla celebrazione del proprio centenario, nel 2030, Ariston Group ha da poco ottenuto la “medaglia d’argento” da EcoVadis, attestandosi nel 15% delle realtà di business più sostenibili su scala globale.
Chiara, quali sono state finora le tappe principali di Ariston Group nella direzione della sostenibilità (ESG)?
Con una rapida carrellata storica inizierei dal fatto che nel 1963 il nostro fondatore ha dato vita alla Fondazione Artistide Merloni, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del territorio attraverso l’imprenditorialità. Nel 1974 l’azienda si è aggiudicata il primo premio sulla responsabilità sociale, mentre nel 1979 ha pubblicato il primo bilancio sociale mai realizzato da un’azienda in Italia, e tra i primi in Europa. All’epoca in pochi erano in grado di essere trasparenti sulla rendicontazione non finanziaria, mentre noi potevamo mettere a disposizione di tutti le informazioni, ad esempio, sull’impatto ambientale o sulla formazione dei dipendenti.
In cosa consiste il piano “Road to 100”?
E’ il nostro piano strategico: ci accompagnerà alle 100 candeline, che spegneremo nel 2030. Mette nero su bianco una serie di obiettivi in tutte le aree e si sviluppa su diversi pilastri, dalle soluzioni alle operation alle persone, fino ai clienti e ai temi della governance. Road to 100 è il risultato di un lungo percorso aziendale, in cui ci siamo impegnati a definire i temi principali su cui focalizzarci per i prossimi anni grazie a un confronto serrato all’interno e anche verso l’esterno dell’azienda.
Tra gli obiettivi ci sono anche quelli che riguardano i fornitori?
Certo, l’attenzione alla supply chain e l’allineamento dei fornitori ai valori aziendali è un aspetto centrale. Per questo abbiamo iniziato a spingere sulle attività di assessment nei confronti dei fornitori più strategici, in modo che possano essere al 100% allineati con il nostro piano e i nostri obiettivi. Siamo così riusciti a individuare le aree di forza e di debolezza nella nostra catena di fornitura, e abbiamo già iniziato a lavorare con i nostri partner implementando piani e azioni per aiutarli a migliorare il loro rating. Non si tratta quindi soltanto di dare “un voto”, ma di lavorare insieme per migliorare. Un altro tema fondamentale, dal nostro punto di vista, è il coinvolgimento del “downstream”, della fase post produzione, per ingaggiare anche i consumatori finali.
Quali scelte vi hanno consentito di ottenere la medaglia d’argento di EcoVadis?
Collaboriamo con EcoVadis da diversi anni, e negli ultimi tre, dopo la quotazione, abbiamo intrapreso un percorso più deciso per il miglioramento del rating. Questo ci ha portato a un lavoro continuo nel tempo per la valutazione, come dicevamo, della catena di fornitura, con la creazione di codice di condotta e della sustainable procurement policy, che prevede requisiti minimi e “nice to have”. Oltre a questo, ci siamo mossi per la validazione dei target di riduzione delle emissioni e abbiamo ottenuto la certificazione da parte di Science based target initiative (SBTi).
Più in generale, quali sono oggi gli obiettivi che vi ponete sui tre assi dell’ESG?
Partiamo dall’ambiente, e quindi dalla riduzione delle emissioni. Nel nostro piano di decarbonizzazione sulle emissioni dirette e indirette è importante notare come le emissioni indirette scope 3, quelle del prodotto in funzione, costituiscono il 99% delle emissioni a livello di gruppo. Gli obiettivi su scope 1 e scope 2 sono di una diminuzione delle emissioni del 42% entro il 2030, mentre per le emissioni scope 3 puntiamo a una riduzione di oltre il 50% per ogni milione di euro di valore aggiunto.
Passiamo al social & governance…
Gli obiettivi in questo caso riguardano sia il personale interno dell’azienda, sia la comunità. Vogliamo offrire ambiente di lavoro sostenibile, diversificato, inclusivo, sicuro e che valorizzi i talenti, in tutte le 29 plant che abbiamo nel mondo, nei competence center e negli uffici. Con la massima attenzione all’upskilling e al reskilling per tutti, un aspetto che reputiamo centrale dal momento che il contesto in cui ci muoviamo è in continua evoluzione. Quanto alle comunità, l’obiettivo è un programma di corporate social responsibility sinergico in tutti i Paesi in cui operiamo, focalizzandoci su due aree: la donazione di prodotti efficienti a strutture che danno supporto a persone in condizioni di necessità, e l’education, per lavorare sulla consapevolezza dell’impatto che ognuno di noi genera nella realtà in cui vive. Infine, la governance: siamo impegnati in un miglioramento continuo, e ci ispiriamo a standard di alto livello per migliorare in termini di trasparenza, tax management, risk management.
Ci racconta in breve il suo percorso professionale prima di arrivare a ricoprire questo ruolo in Ariston Group?
La mia formazione accademica è in comunicazione e PR: ho lavorato per diversi anni in quest’ambito e fatto lunga esperienza all’estero. Sono arrivata in Ariston Group nel 2014 come corporate marketing manager. Con il passare del tempo l’attenzione, anche nella comunicazione, si è concentrata sull’impegno verso la sostenibilità, e nel 2017 abbiamo iniziato a pensare al bilancio di sostenibilità, pubblicando il primo nel 2019 con i dati del 2018. Sono così diventata la responsabile della rendicontazione di tutti questi target, e ho lavorato per coinvolgere tutte le funzioni aziendali. Poi in vista della quotazione, a fine 2020 ho iniziato a lavorare al piano Road to 100.
Come è organizzato il suo team?
Affrontiamo un compito sfidante, e nel tempo anche la consapevolezza è aumentata. Il principio più importante è che abbiamo individuato all’interno delle diverse funzioni aziendali dei “single point of contact” che diventano il punto di riferimento quando dobbiamo mettere in campo attività, azioni o gestire i dati Esg, estendendo in questo modo il nostro team. Contiamo inoltre su una governance ben strutturata: abbiamo un Esg committee, un audit committee a livello di board e un Esg council a livello di Global Executive Directors.
Che metodo avete scelto per misurare le performance e quali sono i vostri standard di riferimento?
Prima della corporate sustainability directive ci siamo affidati agli standard Gri, partendo dal nostro primo bilancio di sostenibilità pubblicato nel 2019. Oltre a questo, ci basiamo anche su standard specifici peri nostri sistemi di gestione e controllo all’interno delle fabbriche e dei competence center in tutto il mondo. E oggi nel reporting stiamo già lavorando per allinearci ai nuovi standard della Csrd.
È possibile che i recenti avvenimenti globali, a partire dalla nuova presidenza negli Usa, preludano a un rallentamento globale nell’impegno per la sostenibilità?
Io credo che la macchina, per quanto complessa, sia ormai partita, e che non si possa più tornare indietro. Sicuramente c’è stato un forte slancio fino al 2023, un grande entusiasmo, che poi però si è scontrato con una serie di grandi complicazioni che hanno accesso i riflettori sulla mole di risorse necessarie alla transizione. Il 2023 è stato così contrassegnato dalla paura, dal raffreddamento dell’entusiasmo, a causa anche di tante nuove normative che hanno aumentato il livello di complessità. Credo che però oggi la situazione si stia assestando, e che i prossimi anni saranno quelli che porteranno alla definizione di un quadro più chiaro.
Non vedo passi indietro all’orizzonte, perché la realtà sul cambiamento climatico – come ci dimostrano i fatti di cronaca – non lascia spazio ai negazionisti. Ma di sicuro vedo lo spazio per una semplificazione del quadro regolatorio. Soltanto per fare un esempio: è vero che la stessa Csrd è complicata, ma è anche vero che confrontarsi con questa norma aiuta a interrogarsi su aspetti importanti, andando oltre la superficialità: aiuta ad aprire aree di riflessione nuove che hanno bisogno di tempo e di competenze”.
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