Sostenibilità

Le comunità energetiche nell’ordinamento: tra sostenibilità e digitalizzazione

Il loro riconoscimento rientra tra i provvedimenti adottati dalle istituzioni europee nell’ambito del Clean Energy Package, un pacchetto di atti normativi che comprende otto direttive con lo scopo di assicurare un’energia pulita

Pubblicato il 22 Lug 2021

Federica Bottini

A&A Studio Legale

comunità energetiche

Con l’obiettivo di un pianeta “green”, sono sempre più numerosi gli interventi normativi che rivelano l’attenzione e soprattutto la sensibilità del legislatore, sia comunitario che nazionale, verso tematiche ambientali. Lo dimostrano, per citare alcuni esempi, l’introduzione dell’obbligo di etichettatura ambientale degli imballaggi, le limitazioni poste all’impiego della plastica e la promozione dell’uso dell’energia rinnovabile. Proprio in quest’ultimo campo, si colloca il riconoscimento delle comunità energetiche, su cui intendiamo soffermarci.

Comunità energetiche, cosa sono

Definite come “gruppi di utenti che collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti energetici locali”, le comunità energetiche rappresentano un sistema innovativo di produzione, distribuzione e consumo dell’energia proveniente da fonti rinnovabili.

Le comunità energetiche sono state accolte positivamente, da un lato, per la capacità di generare benefici per l’ambiente e per la collettività, grazie all’impiego di fonti energetiche rinnovabili, dall’altro, per i vantaggi di natura economica che sono in grado di garantire ai singoli partecipanti.

Secondo una linea di continuità che caratterizza gli ultimi atti adottati, anche in tale contesto, l’utente viene responsabilizzato: non si limita più a fruire dell’energia come “consumer”, ma riveste una funzione fondamentale nel relativo processo di produzione, a cui partecipa attivamente al pari di un “producer”.

Emergono così i “prosumer”, soggetti che racchiudono entrambi i ruoli di consumer e producer, ossia soggetti che consumano una parte dell’energia che contribuiscono essi stessi a produrre, attuando così un sistema di autoconsumo collettivo.

I profili giuridici delle comunità energetiche

Dal punto di vista giuridico, il riconoscimento delle comunità energetiche rientra tra i provvedimenti adottati dalle istituzioni europee nell’ambito del cd. Clean Energy Package, un pacchetto di atti normativi che comprende otto direttive con lo scopo, appunto, di assicurare un’energia pulita.

A livello europeo si è in particolare assistito all’introduzione di due diversi modelli di comunità energetica: la Comunità di Energia Rinnovabile (“CER”), tipizzata dalla Direttiva n. 2018/2001, cd. “RED II”, con cui è stato stabilito un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, e la Comunità Energetica dei Cittadini (“CEC”), prevista dalla Direttiva n. 2019/944.

Benché la CEC sia circoscritta all’energia elettrica, entrambe le tipologie di comunità vengono definite come soggetti giuridici caratterizzati da una partecipazione aperta e volontaria, che si propongono l’obiettivo di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai partecipanti o alle aree locali in cui operano, piuttosto che profitti finanziari.

Per quanto riguarda invece specificamente l’ordinamento italiano, nelle more dell’integrale recepimento delle suddette direttive, l’art. 42-bis del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 8, nell’ambito delle misure in materia di innovazione tecnologica, ha introdotto una disciplina del fenomeno dell’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, nonché delle comunità energetiche. Con questo parziale recepimento, si intende trarre dall’osservazione e dal monitoraggio del fenomeno elementi utili per una compiuta attuazione della disciplina comunitaria.

Il legislatore nazionale, in particolare, consente la realizzazione di comunità energetiche, purché siano rispettate tutte le condizioni previste dal Decreto legge.

comunità energetiche

Non profitti ma benefici

In primo luogo, analogamente a quanto previsto per le CEC e le CER, lo scopo principale della comunità energetica non deve essere il perseguimento di profitti dal punto di vista finanziario, quanto piuttosto “fornire benefici, ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera la comunità”.

I soggetti che partecipano alle comunità energetiche vengono quindi definiti azionisti o membri e possono essere persone fisiche, PMI, enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali.

Le comunità energetiche così istituite hanno a oggetto la produzione di energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza complessiva non superiore a 200 kW, entrati in esercizio entro determinati limiti temporali. Attraverso questo sistema, l’energia viene condivisa, per il consumo istantaneo – anche attraverso particolari sistemi di accumulo –, impiegando la rete di distribuzione esistente. Quantitativamente, l’energia condivisa, in ciascun periodo orario, è pari al minimo tra l’energia elettrica prodotta ed immessa in rete dagli impianti a fonti rinnovabili e quella prelevata dall’insieme dei clienti finali associati.

Viene peraltro mantenuta una dimensione locale, connaturata alla definizione di “comunità”, dal momento che i punti di prelievo dei consumatori e i punti di immissione degli impianti devono essere ubicati in un preciso perimetro, ossia su una rete elettrica di bassa tensione, sottesa alla medesima cabina di trasformazione (di media o bassa tensione) e, altresì, la partecipazione è limitata a consumatori collocati nel medesimo ambito.

L’assenza di scopi economici delle comunità energetiche impone che la produzione di energia non possa costituire l’attività commerciale e/o industriale principale svolta dai partecipanti.

Per quanto riguarda invece la disciplina dei rapporti tra i soggetti appartenenti a una comunità energetica, la regolazione avviene attraverso contratti di diritto privato. Il cliente finale può comunque recedere in qualsiasi momento, abbandonando la comunità energetica, eventualmente a fronte di un corrispettivo per il recesso, purché questo sia equo e proporzionato anche considerando gli investimenti sostenuti.

Da ultimo, vengono previsti degli incentivi per gli impianti a fonti rinnovabili appartenenti alle comunità energetiche.

Smart grid e blockchain per il modello basato sulle comunità energetiche

Si è visto che le comunità energetiche rispondono all’esigenza di favorire processi di produzione e consumo dell’energia sostenibili, al contempo valorizzando il ruolo dell’utente, che non solo diventa protagonista di una gestione più efficiente dell’energia, ma anzi partecipa e soprattutto contribuisce attivamente allo stesso processo di produzione.

Con l’avvento delle comunità energetiche muta quindi la prospettiva: si assiste al passaggio da un sistema energetico centralizzato, in cui l’energia viene trasmessa unidirezionalmente agli utenti tramite una rete centrale, ad un sistema decentralizzato e capillare, caratterizzato dalla collaborazione tra i singoli, che, come si è detto, possono a loro volta produrre e distribuire ed immettere energia nel sistema.

Questa trasformazione è stata favorita dal processo di digitalizzazione che sta interessando le reti elettriche, che diventano “intelligenti”.

Le cosiddette smart grid, caratterizzate da impianti di produzione dell’energia decentralizzati che consentono altresì la distribuzione di energia in più direzioni, permetterebbero quindi di attuare quel sistema energetico innovativo basato sulle comunità energetiche: l’utente può effettivamente assumere rilievo quale parte attiva del sistema di condivisione dell’energia, avendo la possibilità di cedere quella prodotta in eccesso rispetto al proprio fabbisogno, con conseguente abbattimento di costi, riduzione di sprechi e, non da ultimo, salvaguardia dell’ambiente.

Ecco allora il ruolo della tecnologia blockchain: la “catena di blocchi” che per le sue caratteristiche di decentralizzazione, automaticità, trasparenza ed immutabilità si presta a trovare applicazione anche nel settore energetico, può costituire lo strumento attraverso cui far funzionare le smart grid.

Si può ad esempio ricordare che grazie agli smart contract che operano su blockchain, determinati effetti giuridici si producono automaticamente e senza alcuna necessità di avvalersi di intermediari, al solo verificarsi delle condizioni predefinite dalle parti e codificate all’interno della blockchain.

È quindi evidente che questa tecnologia potrebbero favorire proprio i trasferimenti di energia tra utenti nell’ambito di una comunità energetica, in modo automatico e decentralizzato.

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