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Nucleare in Italia: scenari e sfide verso il 2050



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L’analisi di Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano evidenzia tempi lunghi, opportunità industriali e la necessità di riforme per rendere credibile un programma nucleare nazionale, nel contesto di un mix energetico in profonda trasformazione

Pubblicato il 10 dic 2025



energia nucleare in Italia 2050

Il dibattito sul ritorno del nucleare in Italia, ciclicamente riacceso dalle sfide della decarbonizzazione e della sicurezza energetica, ha oggi un nuovo punto di riferimento nello studio Nuclear Energy Innovation Outlook 2025, realizzato dal gruppo Energy&Strategy del Politecnico di Milano.

Il documento presenta un quadro estremamente lucido e realistico: il primo impianto, anche nello scenario più efficiente, non entrerebbe in funzione prima del 2035, considerando la complessità degli iter autorizzativi, la progettazione, la costruzione e l’avviamento. Solo dal 2040 il nucleare inizierebbe a esprimere un contributo energetico tangibile, con una produzione stimata di 13 TWh, secondo le proiezioni PNIEC e Terna-Snam.

È però il 2050 a rappresentare il vero punto di svolta. A questa data, la produzione elettrica nazionale sarà stimata intorno ai 600 TWh, quasi il doppio rispetto a oggi, con una drastica riduzione del contributo delle fonti fossili e una forte presenza delle rinnovabili. In questo quadro, il PNIEC prevede 8 GW di capacità nucleare installata, per una produzione di 64 TWh, cifra che permetterebbe di coprire parzialmente la domanda oggi soddisfatta da FER, da impianti termoelettrici e, in parte, dalle importazioni.

In merito alle potenzialità della tecnologia, il responsabile dello studio Vittorio Chiesa osserva: “Una quota di nucleare potrebbe contribuire in concreto a decarbonizzare il Paese, ma il percorso è sfidante: bisogna intervenire su normativa, governance, autorizzazioni e sviluppo della supply chain per non perdere la finestra industriale che le tecnologie abilitanti apriranno nei prossimi anni”.

La nuova geografia del nucleare

L’Italia non è l’unico Paese a rivalutare il nucleare come leva strategica per la transizione. Oggi nel mondo sono attive oltre 400 centrali, cui si aggiungono più di 50 impianti in costruzione, per lo più reattori tradizionali di grande taglia. In questo scenario, la Cina emerge come attore assoluto, protagonista di un programma di espansione che ne rafforza il ruolo di leader globale.

Secondo Chiesa, “nel mondo, al 2050, la previsione di nuova capacità installata per il nucleare oscilla tra +74%, negli scenari conservativi, fino a +157%”. Una crescita che riflette un assetto internazionale sempre più polarizzato tra esigenze di sicurezza energetica, obiettivi climatici e volontà di garantire stabilità di rete in un contesto dominato da rinnovabili non programmabili.

Per l’Italia, questo scenario globale rappresenta uno stimolo ma anche un monito: se il Paese intende rientrare nel club delle nazioni dotate di impianti, deve muoversi in modo tempestivo per non restare escluso dalle nuove dinamiche tecnologiche e industriali.

SMR e AMR: tecnologie modulari che cambiano la prospettiva del nucleare

Una parte centrale del report è dedicata alle tecnologie innovative che potrebbero ridisegnare il futuro del nucleare: gli Small Modular Reactors (SMR) e gli Advanced Modular Reactors (AMR).

Gli SMR, caratterizzati da una potenza fino a 400 MW, offrono maggiore flessibilità operativa, una più semplice integrazione nei sistemi elettrici dominati da rinnovabili e tempi di costruzione più brevi rispetto ai reattori tradizionali. Sono inoltre considerati più facilmente accettabili dal punto di vista sociale, grazie alle loro dimensioni ridotte e ai costi contenuti.

Gli AMR rappresentano invece la frontiera di IV generazione: reattori in fase di sviluppo avanzato, con temperature di uscita elevate, gestione ottimizzata del combustibile e applicazioni che vanno oltre la sola produzione elettrica, fino alla cogenerazione e all’uso industriale di calore ad alta temperatura.

Le proiezioni illustrate dal report indicano che molti Paesi stanno accelerando sulle tecnologie modulari, riconoscendone il potenziale strategico e industriale. La mappa dei progetti SMR riportata nel documento mostra come, nonostante il numero ancora limitato di impianti operativi o in costruzione, vi sia una pipeline vasta e distribuita, con un interesse crescente soprattutto in Nord America, Europa e Asia.

Un Paese senza reattori, ma con una filiera industriale già preparata

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dal Nuclear Energy Innovation Outlook è che l’Italia, pur priva di impianti nucleari operativi, è ampiamente presente nella filiera europea del settore. Secondo i dati della pre-Partnership SMR, il 24% dei fornitori mappati è italiano, una percentuale superiore a quella di Francia (21%) e Finlandia (20%).

La filiera nazionale si concentra soprattutto nei Tier 4 e 5, che includono componentistica non nucleare, apparecchiature elettriche, acciaieria, consulenza e servizi di montaggio, oltre alle attività legate al decommissioning. È invece intorno al 16% la quota di aziende inserite nei Tier 1-3, quelli più tecnologicamente avanzati, dove operano i vendor, gli EPC e i progettisti dei componenti principali dei reattori.

Secondo il report, questa base industriale rappresenta un potenziale elemento di forza nel caso in cui l’Italia decidesse di avviare un nuovo programma nucleare. Essa è infatti già integrata nei principali programmi europei, competitiva e distribuita su tutto il territorio. La presenza simultanea in più livelli della supply chain dimostra una maturità industriale che potrebbe tradursi in sviluppo, ricerca e posizionamento strategico nel panorama internazionale.

Gli ostacoli: normativa, autorizzazioni e governance

Se l’Italia desidera rendere realistico un proprio programma nucleare, dovrà affrontare un percorso complesso, sulla base delle criticità evidenziate dagli operatori intervistati nel report. La prima riguarda il quadro normativo, che oggi non è allineato a quello dei Paesi europei con infrastrutture nucleari attive. I reattori di nuova generazione richiedono regolamenti specifici, norme tecniche precise e una governance chiara.

La seconda grande area di difficoltà riguarda gli iter autorizzativi, i cui tempi – già superiori a 12 mesi anche per gli impianti rinnovabili – dovrebbero essere sensibilmente ridotti per avvicinarsi ai benchmark internazionali. Parallelamente, sarà necessario individuare siti idonei, tema tra i più delicati per l’accettabilità sociale.

Gli operatori evidenziano inoltre la necessità di un quadro legislativo chiaro e stabile, e di procedure autorizzative semplificate e armonizzate con le best practice europee, garanzie finanziarie e strumenti di supporto agli investimenti, il rafforzamento della Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile, un coinvolgimento strutturato della filiera industriale nei programmi SMR/AMR,
iniziative di comunicazione orientate alla trasparenza.

Senza progressi in queste aree, la possibilità di raggiungere gli obiettivi del PNIEC – 400 MW al 2035 e 8 GW al 2050 – rimarrà molto distante. Ma se il percorso di riforma sarà intrapreso con decisione, il nucleare potrebbe diventare un tassello critico del mix energetico italiano, complementare alle rinnovabili e utile alla sicurezza del sistema.

Tra opportunità e responsabilità: la strategia nazionale

Il Nuclear Energy Innovation Outlook del Politecnico di Milano offre una visione che va oltre il dibattito politico contingente e riporta la discussione sul nucleare dentro un quadro tecnico e temporale fondato su dati, scenari e analisi industriali. Il messaggio che emerge è duplice: da un lato il nucleare può contribuire alla decarbonizzazione, dall’altro richiede condizioni abilitanti che oggi non sono pienamente disponibili nel Paese.

Il 2050 non è solo un traguardo lontano, ma un orizzonte strategico che richiede decisioni da prendere nell’immediato. La sfida è non perdere l’opportunità aperta dalle nuove tecnologie modulari, mentre l’Europa e il mondo si muovono con crescente rapidità.

L’Italia dispone già di una filiera industriale capace, diffusa e pronta a contribuire. La domanda è se il sistema Paese saprà costruire intorno a questa base una strategia coerente e sostenibile, capace di tradurre il potenziale in realtà.

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