L’intelligenza artificiale non è più un tema di frontiera, ma un motore di cambiamento che sta riscrivendo il lavoro e la società. Secondo il rapporto “Intelligenza artificiale: una riscoperta del lavoro umano” della Fondazione Randstad AI & Humanities, 10,5 milioni di lavoratori italiani sono oggi “altamente esposti” al rischio di automazione.
Le professioni più vulnerabili sono quelle a minore qualifica – artigiani, operai, impiegati d’ufficio – ma l’AI non è solo una minaccia: crea anche nuove figure professionali nei campi dei dati, della sicurezza informatica, del machine learning e dell’ingegneria dei sistemi intelligenti.
Non solo: potrebbe persino compensare il calo demografico previsto entro il 2030, con 1,7 milioni di lavoratori in meno. Tuttavia, la vera rivoluzione è nelle competenze, e nel modo in cui l’uomo sceglierà di convivere con la macchina.
Le competenze del futuro: tecnologia e umanità insieme
L’AI non si limita a introdurre strumenti innovativi: ridefinisce il valore delle competenze.
Da un lato servono nuove hard skill, come alfabetizzazione digitale, analisi dei dati e logica algoritmica; dall’altro emergono con forza le soft skill, come creatività, empatia, pensiero critico e problem solving complesso.
Come ha ricordato Valentina Sangiorgi, Presidente della Fondazione Randstad AI & Humanities (nella foto), “Il futuro dell’Intelligenza Artificiale in Italia non è scritto, dipende dalle scelte di oggi. È necessario definire politiche per assicurare che l’evoluzione dell’AI sia guidata da valori umanistici e non solo da logiche di mercato, assicurando che la tecnologia sia alleata della capacità decisionale dell’uomo, dando priorità al pensiero critico, all’empatia, alla creatività.”
Per la Fondazione, la priorità è una riforma del sistema educativo, con modelli di formazione basati sul “learn by doing”, sull’apprendimento continuo e su politiche di upskilling e reskilling che rendano le competenze accessibili a tutti.
Chi è più vulnerabile all’automazione
Il rapporto individua nel dettaglio i profili più a rischio: il 46,6% dei lavoratori esposti è a bassa qualifica, il 43,5% a media e il 9,9% ad alta. Le donne risultano più esposte degli uomini, così come gli anziani rispetto ai giovani, e il livello di istruzione si conferma determinante nel ridurre la vulnerabilità.
Anche le differenze territoriali sono marcate. Le regioni a forte tradizione manifatturiera e con bassa intensità tecnologica – come alcune aree del Sud e del Nord Est – sono più fragili. Al contrario, territori come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna combinano una maggiore esposizione con maggiori opportunità di riqualificazione.
I settori più a rischio restano manifattura, logistica e servizi amministrativi, mentre sanità, istruzione e ricerca mantengono un profilo più resistente grazie all’elemento umano insostituibile.
Educazione e AI: un nuovo paradigma formativo
L’intelligenza artificiale sta già trasformando i sistemi educativi. Le nuove generazioni preferiscono modalità di apprendimento conversazionali, più vicine al linguaggio dei chatbot che alla riflessione analitica. Ma questa tendenza rischia di indebolire il pensiero critico e la capacità di discernimento.
Per la Fondazione Randstad AI & Humanities, l’AI deve diventare un “tutor socratico”, uno strumento che stimoli le domande anziché fornire risposte preconfezionate. Serve una didattica meno frontale e più esperienziale, capace di potenziare competenze umane come la creatività e il pensiero critico, integrando discipline STEM e humanities. Solo così, scondo la fondazione, l’intelligenza artificiale potrà diventare un alleato dell’apprendimento, e non un surrogato della conoscenza.
Formazione continua: la chiave della transizione
Nel mondo dell’AI, la formazione non è più una fase ma un processo permanente.
Il rapporto invita a grandi investimenti pubblici e privati per programmi di aggiornamento tecnico e umano, con un approccio olistico alle competenze.
Le hard skill – dall’uso delle piattaforme intelligenti alla data literacy – devono andare di pari passo con lo sviluppo delle capacità relazionali, etiche e creative.
È questa la chiave per rendere l’intelligenza artificiale un fattore di progresso condiviso, anziché di disuguaglianza.
Smart working e AI: un legame inatteso
Uno degli aspetti più curiosi emersi riguarda il rapporto tra smart working e rischio di automazione. Chi lavora sempre o parzialmente da casa è più esposto (oltre l’80%) rispetto a chi non lavora mai in remoto (48,3%).
Il dato suggerisce che il lavoro a distanza, pur offrendo flessibilità, può ridurre la componente relazionale e creativa del lavoro umano, proprio quella meno sostituibile. Per questo, la Fondazione invita a ripensare gli uffici come spazi di socialità e collaborazione, luoghi dove ricostruire senso di appartenenza e sviluppare le competenze che l’AI non può generare.
Il rischio dell’“incoscienza artificiale”
Oltre al rischio di sostituzione lavorativa, il rapporto denuncia una deriva culturale: la “incoscienza artificiale”, ovvero la tendenza a fidarsi ciecamente delle risposte delle macchine. Questa delega cognitiva rischia di indebolire la consapevolezza critica e la responsabilità individuale.
“L’AI in Italia sta abbattendo i tradizionali confini delle discipline e spinge le persone a lavorare con l’AI e non in alternativa, valorizzando le competenze umane come creatività e capacità di astrazione”, si legge nel rapporto. Per contrastare questo rischio, serve una diffusa alfabetizzazione tecnologica e digitale, capace di formare cittadini consapevoli e non meri utilizzatori di strumenti.
Governance etica e politiche globali
Durante la presentazione del rapporto è stato discusso anche il tema della governance dell’intelligenza artificiale, grazie alla ricerca coordinata dal professor David Leslie della Queen Mary University di Londra.
Lo studio, condotto nell’ambito della Michael A. Katell Memorial Fellowship for Equitable AI Futures, applica il framework etico dell’UNESCO alla gestione dell’AI nelle aziende europee.
Da questo progetto è nato il Technology Policy Assistance Facility, presentato da UNESCO e Presidenza sudafricana del G20, per aiutare i governi a sviluppare roadmap nazionali basate su equità, trasparenza e responsabilità.



































































