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Idrogeno: all’Italia serve una strategia chiara per un vero decollo



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L’Hydrogen Innovation report dell’Energy & Strategy Group Politecnico di Milano ha evidenziato come il settore, nonostante la spinta delle normative europee, debba ancora risolvere parecchi problemi

Pubblicato il 29 set 2021



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È da tantissimi anni che si parla dell’idrogeno come una delle chiavi per la decarbonizzazione del settore energetico, forse persino troppi. Negli ultimi anni questa soluzione è di nuovo prepotentemente tornata al centro dell’attenzione, per effetto delle nuove disposizioni europee in materia, ma le domande sul tappeto restano le stesse di una dozzina di anni fa. Come è possibile produrre idrogeno in maniera pulita? Quali sono gli usi più importanti? In quale ambito potrebbe essere la soluzione? Come trasportarlo? Come renderlo più economico e competitivo? Infatti al momento la stessa presenza dell’idrogeno nel panorama dell’energia è del tutto limitata, tanto da essere in realtà prodotto in quantità limitata ed essere destinato soprattutto al soddisfacimento delle esigenze di pochi settori produttivi (raffinerie, fertilizzanti, ecc). Su queste e altre questioni si è concentrato l’Hydrogen Innovation report dell’Energy & Strategy Group Politecnico di Milano. La limitata affidabilità, unita a efficienze non elevatissime, ha rappresentato negli anni un elemento molto importante che ha rallentato la decisa penetrazione delle tecnologie per la produzione di idrogeno. In questo contesto si è inserita la «Strategia Europea per l’idrogeno», pubblicata l’8 luglio 2020 dalla Commissione Europea. Che si è posta l’obiettivo di sfruttare l’idrogeno per supportare il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, in particolare in settori considerati difficili da decarbonizzare, quali l’industria hard-to-abate, quello dei trasporti, non trascurando infine il settore del riscaldamento residenziale/industriale e quello della generazione di energia elettrica.

La spinta della Strategia europea

La strategia europea ha riacceso l’entusiasmo sull’idrogeno, ma l‘analisi del report sembra spingere alla moderazione, partendo innanzitutto da una considerazione di partenza: l’idrogeno, al contrario di eolico e solare, non è una fonte energetica, ma un vettore, che serve cioè essenzialmente all’accumulo di energia. Infatti, nonostante l’idrogeno sia l’elemento chimico più diffuso nell’Universo e sulla Terra, la molecola di idrogeno H2 è in realtà assai rara in atmosfera. Per questo motivo l’idrogeno va prodotto in maniera artificiale, attraverso dei processi che a loro volta consumano energia. Ne discende quindi che la sua carbon footprint dipende strettamente dai processi e dalle fonti energetiche utilizzate per la sua produzione. Ad oggi infatti la produzione diretta di idrogeno deriva quasi interamente da fonti fossili (99,3%) con emissioni in ambiente che si rivelano non trascurabili. Soltanto lo 0,7% è idrogeno blu o, meglio ancora, verde, derivati da processi assai più costosi ma poco o per nulla inquinanti. La colpa è soprattutto del costo di produzione dell’idrogeno verde, che oggi è pari a 3 volte quello dell’idrogeno grigio.

L’atteso calo dei costi

Allo stato attuale della tecnologia e dei costi di produzione dell’idrogeno verde, senza nessuna incentivazione o senza una qualche forma di «prescrizione» all’utilizzo di una quota di idrogeno verde, i possibili utilizzatori finali dei settori potenzialmente interessati (trasporti, industrie pesanti) , che attualmente utilizzano metano o idrogeno grigio, non hanno una convenienza economica nell’utilizzare idrogeno verde. Il problema principale non è tanto legato tanto ai costi capex legate alla realizzazione degli impianti di elettrolisi per l’idrogeno verde, quanto piuttosto ai consumi elettrici correlati (opex). Tanto che, secondo il report, a differenza di quanto fatto in passato per le fonti pulite, dove si è puntato ad abbattere le CAPEX, eventuali misure di incentivazione dell’idrogeno verde dovranno puntare anche ad abbattere il costo dell’energia elettrica utilizzata dall’elettrolizzatore. Eppure, è previsto nel prossimo futuro un abbattimento del differenziale che emerge a livello di Levelized Cost of Hydrogen (LCOH), determinando quindi una «rilevanza» sempre maggiore di queste tecnologie sul mercato. Il report ha mappato in Europa 295 progetti «attivi» legati a tecnologie di produzione dell’idrogeno a «bassa emissione», ovvero riferiti alla produzione di idrogeno verde, blu e giallo. Fino al 2015 la maggioranza dei progetti apparteneva alla categoria «research», tra il 2016 e il 2020 la categoria «predominante» è invece quella dei progetti pilota, mentre nel prossimo futuro quella dominate sarà quella relativa ai progetti «Market».

L’idrogeno per l’Italia

E l’Italia? Il problema per l’idrogeno verde è che all’attuale tasso di installazione di potenza da rinnovabile (pari a 784 MW per il 2020) il nostro Paese non riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati all’interno del PNIEC, che dovranno inoltre essere aggiornati in logica Fit for 55. Rendendo dunque funzionamento degli elettrolizzatori necessari per produrre idrogeno verde in coerenza i principi elencati all’interno della RED II. Secondo l’E&S è dunque necessario implementare un percorso volto ad attuare azioni di policy – quali ad esempio l’ottimizzazione degli iter autorizzativi – per permettere una crescita delle rinnovabili sul territorio italiano coerente non solo con gli obiettivi presenti nel Fit for 55, ma anche con la volontà di creare – come descritto all’interno delle linee guida dell’Hydrogen Strategy –un mercato relativo all’idrogeno verde. In questo senso appare urgente che l’Italia definisca la propria strategia nazionale per l’idrogeno, indicando con precisione gli obiettivi che intende raggiungere e i percorsi per traguardarli, nella scia della Strategia Europea e come già fatto dai principali Paesi membri.

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