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Come ridurre l’impatto ambientale nel tessile-abbigliamento e mantenerne la competitività



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Il mondo tessile si sta muovendo ancora lentamente come dimostrano i dati Science Based Target Initiative SBTi, ma c’è la possibilità di accelerare grazie a progetti come RESTART (REsilient, SusTainable and circulAr leatheR and Textile supply chains)

Pubblicato il 4 apr 2024

Gianmarco Bressanelli

Laboratorio RISE

Anna Domeneghini

Collaboratrice Laboratorio RISE, Università degli Studi di Brescia

Nicola Saccani

Laboratorio RISE



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Le spinte alla riduzione dell’impatto aziendale nel settore del tessile e abbigliamento sono notevoli, ma poche aziende si stanno muovendo davvero, anche per la frammentazione della value chain. Partecipando al progetto RESTART è possibile valutare la propria prontezza e prepararsi a sviluppare un piano di azione.

Analisi delle aziende aderenti alla Science Based Target Initiative del settore: troppo poco, troppo piano

L’ecosistema tessile europeo è composto principalmente da piccole e medie imprese (PMI) che costituiscono il 99,5% di quelle attive nel settore. I principali produttori di prodotti tessili e di abbigliamento dell’UE sono concentrati in Germania, Spagna, Francia, Italia e Portogallo, e oltre il 40% dei capi di abbigliamento è prodotto in Italia.

Come già analizzato nel servizio Costruire un’industria tessile più sostenibile, resiliente e circolare. Il contributo del progetto RESTART alle aziende tessili italiane, l’impatto ambientale del settore tessile-abbigliamento è tra i più elevati. Un aspetto certamente critico è dovuto alla filiera “lunga” e all’eccessiva frammentazione del processo produttivo su un numero elevatissimo di piccole e micro imprese che operano in modo inefficiente e non coordinato, e quindi non più in grado di garantire adeguati livelli di servizio per il settore moda.

La value chain tessile ha inizio con l’estrazione delle fibre e la loro preparazione, (realizzazione di filati e prodotti intermedi). Segue la produzione dei filati che saranno utilizzati per creare i prodotti finiti ed infine, l’assemblaggio e il confezionamento di questi ultimi. Alle fasi produttive si aggiungono poi la distribuzione e l’utilizzo dei prodotti tessili da parte del cliente finale ed il fine vita, che molto spesso non porta al recupero ma alla dismissione e termovalorizzazione o dispersione nell’ambiente.

Figura: Value chain tessile. (fonte: Sustainability and Circularity in the Textile Value Chain,UNEP,2023)

Il 70% delle emissioni a monte, il 30% in downstream

Osservando la distribuzione dell’impatto ambientale si stima che circa il 70% delle emissioni si collochino nelle fasi a monte mentre il restante 30% downstream. In particolare, le due fasi che insieme sono causa del 60% dell’impatto climatico del settore sono lo sbiancamento/colorazione e finitura (36%) e l’utilizzo dei prodotti tessili (24%). Inoltre, l’utilizzo dei prodotti tessili si stima sia causa del 35% delle microplastiche presenti in ambiente: fenomeno accentuato dal fast fashion, per via del l’utilizzo prevalente di fibre sintetiche di origine fossile e per il fatto che la maggior parte di microplastiche è rilasciata nel corso dei primi 5-10 lavaggi.

Recenti studi condotti da McKinsey e da Global Fashion Agenda indicano che gli sforzi degli attori della value chain tessile non sono abbastanza ambiziosi per raggiungere uno status a zero emissioni nette (“Net Zero”) e contenere il riscaldamento globale ad 1,5ºC.  Il progetto RESTART (REsilient, SusTainable and circulAr leatheR and Textile supply chains), che mira ad aiutare le aziende tessili italiane nella loro transizione circolare e sostenibile, ha analizzato i dati dal database “Companies taking action” di Science Based Target Initiative (SBTi), per verificare il tipo di impegno adottato dalle aziende del settore.

SBTi: cosa fanno le aziende del mondo tessile

Osservando il campione di aziende aderenti all’iniziativa SBTi, che hanno dichiarato l’impegno alla riduzione delle emissioni, si evince che le aziende tessili sono 467 (su 7557 presenti nel database, il 6%). Di queste, 223 hanno formalizzato un obiettivo quantitativo, nell’ambito di una strategia di lungo periodo verso il raggiungimento di zero emissioni nette. Ma soltanto 31 hanno già strutturato ed ottenuto l’approvazione da SBTi della propria strategia. 

Restringendo il campo alle aziende italiane, il settore tessile risulta quello maggiormente rappresentato con 41 aziende su un totale di 152 organizzazioni italiane aderenti SBTi. Tuttavia, sono soltanto 5 le aziende del settore ad avere steso una strategia di lungo periodo volta al raggiungimento di uno status Net-Zero: Brunello Cuccinelli, Emernegildo Zegna, Moncler Group, Prada Group e Relaxshoe.

Le azioni per un’azienda circolare

Per cercare di limitare l’impatto ambientale del settore tessile sarà necessario nei prossimi anni intraprendere un percorso mirato a rendere circolare il settore. Questo è uno degli impegni del progetto RESTART, parte di MICS – Made in Italy Circolare e Sostenibile e finanziato dal PNRR e portato avanti delle Università di Firenze, Brescia, Bergamo e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che mira ad aiutare le aziende tessili italiane nella loro transizione circolare e sostenibile.

Si stima infatti che l’adozione di modelli di business circolare nel settore tessile possa consentire una riduzione delle emissioni di GHG di circa il 25%. Ma quali azioni vanno intraprese a tale fine?

Innanzitutto fare in modo che i prodotti tessili vengano usati di più e quindi favorire un’estensione del loro ciclo di vita. Due sono le principali leve su cui operare: la progettazione e la sensibilizzazione dei consumatori. In tal senso, per favorire un allungamento del ciclo di vita dei prodotti, si diffonde da parte delle aziende l’integrazione di processi di riparazione dei capi tra le proprie attività. Ma i capi devono essere progettati e realizzati per essere disassemblati in modo tale da poter essere riutilizzati, e dopo il loro utilizzo riciclati in modo sicuro ed efficace. Inoltre, è opportuno lavorare sulla sensibilizzazione dei consumatori.

La realizzazione di un ecosistema tessile sostenibile e circolare richiede un impegno non solo da parte dell’industria ma anche da parte dei consumatori stessi che devono sostenere con le proprie scelte di acquisto la transizione verso una moda sempre più sostenibile e circolare. In quest’ottica vanno favoriti modelli di business come il noleggio o la ricommercializzazione dei capi d’abbigliamento. Nasce con questo scopo la campagna di sensibilizzazione promossa dall’Unione Europea ReSet the Trend – #RefashionNow, volta a favorire la transizione verso pratiche sostenibili, al fine di incoraggiare i cittadini, in particolare i giovani europei, a rendere il consumo associato alla moda più sostenibile e circolare.

Infine, la gestione dei rifiuti tessili rappresenta una sfida significativa, specialmente per la carenza di infrastrutture a livello dell’Unione Europea per la raccolta e la separazione di tali materiali. Ad esempio, le fibre sono spesso mescolate le une alle altre, come il poliestere con il cotone, complicando il processo di riciclaggio a causa della limitata disponibilità di tecnologie in grado di separare i diversi tipi di fibre.

Valutarsi e confrontarsi attraverso il progetto RESTART

Le aziende operanti nel settore tessile possono partecipare gratuitamente al progetto RESTART, compilando il questionario di assessment a questo link con la possibilità di accedere a una serie di vantaggi, come i seguenti:

  • Ricevere i risultati e tutti i report della ricerca
  • Poter accedere ad una web app per il benchmarking dei propri risultati rispetto alla media aziende del settore (anonimizzate)
  • Poter partecipare agli eventi di divulgazione dei risultati della ricerca
  • Ricevere la segnalazione di opportunità di partecipazione a bandi a cascata del MICS – Made in Italy Circolare e Sostenibile

Per maggiori informazioni sul progetto di ricerca RESTART            

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