Che cos’è la SFDR sustainable finance disclosure regulation?
La Sustainable finance disclosure regulation o SFDR è il regolamento europeo entrato in vigore nel 2021 con l’obiettivo di definire una governance del mercato della finanza sostenibile. Nello specifico la SFDR è nata con la missione di creare condizioni per rendere misurabili e comparabili i diversi strumenti finanziari nati o utilizzati anche per favorire il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità.
Ancor più concretamente la SFDR è una cornice normativa con regole comuni definite allo scopo di consentire a tutti gli operatori del mercato finanziario, sia a livello di offerta sia a livello di domanda, di mettere in diretta relazione gli strumenti finanziari con la transizione ecologica e con gli obiettivi ESG.
Perché il mondo della finanza sostenibile aveva bisogno di una regolamentazione?
Considerando che la sustainable finance rappresenta quel comparto del mondo finanziario che punta a indirizzare i capitali verso investimenti verso progetti e iniziative basso impatto ambientale, socialmente responsabili e gestiti secondo criteri di governance corretta con logiche ESG è apparso necessario predisporre degli strumenti in grado di garantire appunto misurabilità dei risultati, trasparenza, credibilità e affidabilità.
In secondo luogo la necessità di una regolamentazione è stata sollecitata anche dalla diffusione e dalla crescita di tanti prodotti finanziari che si dichiaravano “green” o “responsabili”, senza però rispondere a specifici standard comuni. Grazie alla SFDR, l’Unione Europea ha voluto introdurre delle regole vincolanti per gli operatori, in modo da contrastare fenomeni di greenwashing a tutela sia degli investitori sia di una corretta concorrenza.
Chi sono gli attori del mondo della finanza soggetti alla SFDR?
La Sustainable finance disclosure regulation si applica a una vasta gamma di soggetti che comprendono gestori di fondi, consulenti finanziari, banche, assicurazioni e istituti di investimento collettivo. Tutti questi attori sono tenuti a fornire informazioni chiare e dettagliate sull’impatto ambientale e sociale delle proprie strategie di investimento.
Quali sono, in sintesi, le modalità di classificazione dei prodotti finanziaria previste dalla SFDR?
Uno dei principali contenuti della Sustainable finance disclosure regulation è rappresentato dalla sua struttura che prevede una classificazione dei prodotti finanziari in tre categorie:
- All’articolo 6 sono indicati i prodotti che non integrano specifici criteri ESG, ma devono comunque dichiarare la loro posizione in materia.
- All’articolo 8 si trattano i prodotti che promuovono caratteristiche ambientali e/o sociali, ma senza avere come obiettivo primario la sostenibilità.
- Articolo 9 infine si considerano i prodotti a impatto, vale a dire i prodotti finanziari con specifici obiettivi di investimento sostenibile misurabili e verificabili.
Perché la SFDR ha scelto di prevedere una classificazione dei prodotti finanziari?
La classificazione in diverse categorie di prodotti finanziari in funzione degli obiettivi permette agli investitori di orientarsi meglio. Grazie a questa distinzione gli investitori possono valutare al meglio la scelta tra fondi che sono impostanti “semplicemente” per essere “responsabili” e strumenti che nascono a tutti gli effetti per essere focalizzati sulla sostenibilità, ovvero per finanziare progetti che hanno come obiettivo tematiche di produzione sostenibile, di economia sostenibile e in definitiva di ambiente sostenibile.
Cosa significa Principal Adverse Impacts e cosa vuol dire dichiarare gli effetti negativi degli investimenti?
Un elemento fondamentale della SFDR, da mettere in relazione con i principi della CSRD e con le logiche di analisi di materialità e soprattutto di doppia materialità è rappresentato dall’introduzione dei PAI (Principal Adverse Impacts). I PAI sono a tutti gli effetti degli indicatori obbligatori attraverso i quali gli operatori valutano e dichiarano quelli che possono essere gli effetti negativi delle loro decisioni di investimento su ambiente e società. Rientrano nella categoria delle tematiche PAI, solo per fare qualche esempio, le emissioni di CO2, il consumo di acqua, i rischi per la perdita di biodiversità, l’esposizione ai climate risk, le condizioni di lavoro e la parità di genere.
Quali sono, in sintesi, i principali obblighi della SFDR in termini di trasparenza?
Dal punto di vista delle tematiche di trasparenza la Sustainable finance disclosure regulation impone un doppio impegno
- Prima di tutto a livello aziendale, ovvero di entità. Rientra in questa categoria una corretta trasparenza su come il gestore integra i fattori ESG nella propria strategia complessiva.
- In secondo luogo a livello di prodotto. In questo caso si tratta di spiegare dettagliatamente come ciascun singolo fondo o strumento finanziario è stato strutturato e viene gestito per considerare sia i rischi sia gli impatti di sostenibilità.
In che modo la SFDR configura anche degli obblighi di reporting?
Operativamente la SFDR prevede anche una serie di obblighi di reporting da gestire periodicamente sulla base di modelli standardizzati di informativa e compilando schede tecniche uniformi. L’obiettivo della comparabilità in un campo caratterizzato da numerose variabili come quello della sostenibilità ha lo scopo di permettere agli investitori una più semplice ed efficace valutazione dei diversi prodotti e in definitiva di di ridurre le asimmetrie informative.
L’impatto della SFDR appare rilevante: spinge gli operatori a ripensare processi, le metodologie di selezione e la comunicazione verso i clienti. Al tempo stesso, fornisce agli investitori strumenti per scegliere consapevolmente, premiando le realtà più trasparenti e realmente impegnate nella sostenibilità.
Qual è l’impatto della SFDR sul mercato? Lo studio della Banca d’Italia
Uno strumento prezioso per comprendere l’impatto della regolamentazione della finanza sostenibile sul mercato finanziario è rappresentato dallo studio “Sustainable finance regulation, funds portfolio reallocation and real effects” realizzato dalla Banca d’Italia e pubblicato nell’ambito degli Occasional Papers – Questioni di Economia e Finanza. (QUI per consultare il documento completo n.d.r.)
Lo studio sottolinea subito come gli investitori istituzionali siano sempre più attenti ai rischi climatici e alle preoccupazioni legate alla sostenibilità nelle loro decisioni di investimento. Questa crescente attenzione ha a sua volta fatto crescere l’attenzione sulle strategie di investimento più efficaci per promuovere la sostenibilità.
Cosa significa investimento sostenibile?
Tradizionalmente, l’investimento sostenibile implica l’orientamento del portafoglio verso titoli emessi da imprese “green” con un basso rischio di sostenibilità, richiedendo di conseguenza il disinvestimento da imprese “brown” con un’alta esposizione al rischio di sostenibilità. Sebbene questa strategia sia efficace nel ridurre l’esposizione al rischio di sostenibilità dei portafogli degli investitori, il suo impatto finale sui risultati reali delle imprese non finanziarie rimane poco chiaro.
Da un lato, il disinvestimento potrebbe incentivare le imprese “brown” a diventare più sostenibili, aumentando il loro costo del capitale. Dall’altro, un disinvestimento generalizzato, che penalizza anche le imprese “brown” impegnate a migliorare il loro profilo di sostenibilità, potrebbe scoraggiare i loro sforzi per diventare più sostenibili.
Come cambia l’atteggiamento verso l’investimento sostenibile con la SFDR?
Lo studio della Banca d’Italia si propone di esaminare l’impatto della Regolamentazione sulla Divulgazione della Finanza Sostenibile SFDR dell’Unione Europea, entrata in vigore nel marzo 2021.
Come abbiamo visto la SFDR impone ai fondi comuni di investimento di dichiarare il loro impegno (nullo, moderato o forte) verso l’investimento sostenibile. Lo studio mostra che gli investimenti sostenibili da parte dei fondi comuni influenzano anche i prezzi azionari e i risultati reali delle imprese non finanziarie.
Questo significa che i fondi che dichiarano un impegno moderato (ad esempio Articolo 8, o “light green”) riducono l’esposizione a titoli con elevato rischio ESG (“brown”), mentre i fondi fortemente impegnati (che appartengono all’Articolo 9, o “dark green”) non apportano modifiche significative, essendo già percepiti come sostenibili.
Il disinvestimento dalle imprese “brown” avviene indipendentemente dai loro precedenti impegni di sostenibilità e ne riduce i prezzi azionari. Questa riduzione è a sua volta associata a minori spese ambientali e maggiori emissioni di carbonio. Dallo studio emerge che un eventuale disinvestimento indiscriminato da parte dei fondi ESG potrebbe inavvertitamente peggiorare le performance ambientali, indebolendo di fatto gli incentivi delle imprese a investire nella sostenibilità. In altre parole potrebbe avere un effetto ben diverso dalle sue intenzioni.
Qual è il ruolo e le implicazioni delle etichette previste dalla SFDR?
Come già abbiamo visto la SFDR richiede ai gestori di fondi dell’UE di divulgare nel loro prospetto informativo le modalità con cui integrano (se la integrano) la sostenibilità nelle strategie di investimento, utilizzando appunto le tre diverse “etichette”: a colori.
- Articolo 8 (light green)
- Articolo 9 (dark green)
- Articolo 6 (brown)
Queste etichette sono state concepite per consentire agli investitori di prendere decisioni informate, valutando come i rischi di sostenibilità sono integrati nel processo di investimento di ciascun fondo.
Cosa è successo ai portafogli e alla gestione dei rischi ESG?
Concentrando l’attenzione sui fondi azionari domiciliati nell’UE, che detengono una notevole quantità di attività in gestione (pari a circa 3,5 trilioni di euro al momento dell’entrata in vigore della SFDR) lo studio si è avvalso dei dati sulle partecipazioni dei fondi (a livello di titolo) di Morningstar e di informazioni sulle caratteristiche e indicatori di performance a livello di fondo. Sulla base di questi criteri il campione finale della ricerca è stato costituito da fondi domiciliati in quattro economie dell’UE: Francia, Germania, Italia e Spagna, in Irlanda e Lussemburgo, ovvero due importanti centri finanziari per l’industria dei fondi di investimento dell’UE. Con questo metodo la ricerca ha coperto circa il 65% dei fondi azionari domiciliati nell’UE. L’esposizione al rischio ESG è stata misurata tramite il punteggio di rischio ESG di Morningstar Sustainalytics, che è crescente nell’esposizione dell’impresa al rischio ESG e varia da 0 a 100.
Cosa hanno fatto i fondi con un impegno ESG?
Dopo l’entrata in vigore della SFDR, i fondi che dichiarano un impegno ESG hanno riallocato significativamente i loro portafogli verso titoli più sostenibili. In particolare, sono i fondi “light green” (Articolo 8) a guidare questo aggiustamento, mentre il cambiamento stimato per i fondi “dark green” (Articolo 9) non è statisticamente significativo. La maggioranza dei fondi “dark green” aveva già adottato un forte impegno ESG prima della divulgazione dell’etichetta e godeva già dei più alti rating ESG.
Come si sono mossi i fondi “light green”?
I fondi “light green” hanno ridotto le loro partecipazioni in titoli con un’esposizione al rischio ESG grave del 3,6% rispetto a titoli con esposizione al rischio ESG trascurabile e rispetto ai fondi “brown”. La riallocazione del portafoglio ha visto l’esclusione di titoli “brown” con alto punteggio di rischio ESG, piuttosto che attraverso l’acquisto di titoli con basso punteggio di rischio ESG.
Inoltre, i fondi “light green” sono risultati essere sproporzionatamente più sensibili al rischio ambientale (E) che al rischio sociale (S) e al rischio di governance (G). Sebbene i fondi “light green” riducano la loro esposizione a tutti e tre i pilastri del rischio ESG, l’aggiustamento è fortemente significativo solo per il punteggio di rischio ambientale (all’1% di livello) e solo marginalmente significativo (al 10% di livello) per il punteggio di rischio di governance. Al contrario, la riduzione dell’esposizione al rischio sociale è di un ordine di grandezza inferiore e non statisticamente significativa.
Com’è cambiato l’atteggiamento verso i fondi “brown”?
Lo studio ha voluto indagare se i fondi “light green” discriminassero tra imprese “brown” impegnate in obiettivi di sostenibilità e quelle che non lo erano. I risultati indicano che i fondi “light green” non discriminano in base a dimensioni diverse dal livello ex-ante del punteggio di rischio ESG. Infatti, disinvestono da imprese “brown” indipendentemente dai loro impegni di sostenibilità nei confronti della Science Based Target Initiative (SBTi) o da eventuali miglioramenti negli indicatori di sostenibilità (ad esempio, le emissioni di carbonio) avvenuti nei tre anni precedenti l’entrata in vigore della SFDR.
Com’è cambiata la “geografia” dei fondi?
Dopo l’implementazione della SFDR, i fondi “light green” hanno registrato un aumento di 4 punti percentuali nella probabilità di ottenere un rating di sostenibilità “verde” (ossia 4 o 5 globi secondo i rating di Morningstar Sustainalytics a livello di fondo). La riallocazione del portafoglio è poi associata a flussi di capitale maggiori (inflows). I fondi “light green” hanno attratto flussi netti più elevati di 0,2% su base mensile e avevano flussi normalizzati superiori di 1,3 percentili rispetto ai fondi “brown”. Questi risultati, che si mantengono anche controllando per i rating di sostenibilità preesistenti di Morningstar, corroborano l’ipotesi che i fondi cerchino di segnalare la loro strategia di investimento ESG per attrarre nuove risorse finanziarie.
Ci sono stati effetti sulle imprese?
La riallocazione del portafoglio dei fondi “light green” ha avuto significative ramificazioni sulle imprese non finanziarie. Il disinvestimento da parte dei fondi “light green” ha ridotto i rendimenti azionari per le imprese con alto punteggio di rischio ESG, rispetto a quelle con basso punteggio di rischio ESG. In particolare, 3 mesi dopo l’entrata in vigore della SFDR, un aumento interquartile (IQR) del punteggio di rischio ESG a livello di impresa è associato a una caduta relativa di 232 punti base nei rendimenti azionari per le imprese con alta esposizione ex-ante ai fondi “light green” (ossia, con una quota di proprietà ex-ante pari o superiore all’1%), rispetto alle imprese con bassa esposizione. Questo effetto è duraturo e cresce nel tempo, raggiungendo i 485 punti base dopo 1 anno.
L’aggiustamento nei rendimenti azionari è principalmente guidato dalle imprese con un punteggio di rischio ambientale (E) elevato, piuttosto che da quelle con valori relativamente maggiori di punteggio di rischio di governance (G) e rischio sociale (S).
Perché l’effetto SFDR peggiora la situazione delle imprese “brown”?
Lo studio lo definisce un effetto del meccanismo di “disincentivo” e si concretizza con un atteggiamento che caratterizza le imprese “brown” che non migliorano la loro performance ambientale. Al contrario, il disinvestimento indiscriminato da parte delle imprese “brown” è associato a un significativo aumento relativo della loro intensità di carbonio (ovvero il rapporto tra emissioni totali di carbonio e ricavi), guidato da emissioni complessivamente più elevate.
Quali sono in sintesi le evidenze della ricerca?
La nostra ricerca ha mostrato che i fondi che si impegnano nell’investimento ESG attraverso la SFDR riequilibrano il loro portafoglio verso titoli con un’esposizione al rischio ESG relativamente inferiore, attirando così maggiori flussi di capitale. I fondi disinvestono da titoli “brown” (ossia, a rischio ambientale), generando pressioni di vendita che alla fine portano a un calo del prezzo dei titoli “brown”.
Le imprese “brown” relativamente più esposte alla SFDR – attraverso una maggiore quota della loro capitalizzazione di mercato detenuta da fondi azionari impegnati nell’investimento sostenibile tramite la SFDR – mostrano investimenti inferiori, sono costrette ad affrontare un taglio nelle spese ambientali e un peggioramento di diversi indicatori di performance ambientale, incluso un aumento significativo dell’intensità delle emissioni di carbonio.
La ricerca solleva infine una sorta di avvertimento nei confronti di quelle strategie o atteggiamenti di l’investimento sostenibile che si concretizza in unai esclusione indiscriminata delle imprese “brown” dal portafoglio degli investitori. Non è solo stimolando o spingendo la domanda degli investitori verso titoli “green” che si ottengono benefici in termini di decarbonizzazione e men che meno di decarbonizzazione e competitività industriale proprio perché i rischi di un disinvestimento da imprese “brown” potrebbe scoraggiare azioni correttive contro il rischio di sostenibilità da parte delle imprese più esposte. In sostanza si evidenzia la necessità di una correzione della normativa in modo tale da incentivare la transizione piuttosto che favorire “solo” o primariamente le imprese che già sono nella direzione di uno sviluppo sostenibile.