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Remunerazione CEO e ESG: la sostenibilità fa bene al portafoglio



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La remunerazione dei top manager è sempre più spesso collegata ai fattori ESG, attraverso sistemi di incentivazione che legano bonus e premi al raggiungimento di obiettivi ambientali, sociali e di governance.Si tratta di una modalità attraverso la quale la sostenibilità diventa parte integrante della strategia aziendale. Il legame tra performance ESG e compensi serve inoltre ad allineare gli interessi del management con quelli di stakeholder, investitori e società. Arriva dalla Banca d’Italia una analisi comparativa sulla remunerazione legata a fattori ESG per i CEO nelle principali economie europee

Pubblicato il 24 ago 2025

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it, EnergyUP.Tech e Agrifood.Tech



Remunerazione CEO e ESG
Fonte: Banca D'Italia "ESG metrics in CEO compensation: incentives and sustainability in the major EU economies" pubblicato nella linea "Questioni di Economia e Finanza".

Cosa significa allineare la remunerazione dei CEO alle performance ESG?

Allineare la remunerazione dei top manager alle performance ESG è un passaggio fondamentale per mettere la sostenibilità al centro delle strategie aziendali. Allineare la remunerazione di CEO e top manager ai risultati ESG significa che una parte del compenso – in particolare bonus variabili e stock option – non dipende più solo da indicatori economico-finanziari (come i profitti, la crescita del fatturato, il ritorno per gli azionisti), ma anche dal raggiungimento di obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance.


L’allineamento delle remunerazioni dei CEO alle performance ESG migliora i risultati delle imprese?

L’incorporazione delle metriche ESG o degli indici di sostenibilità nei piani di remunerazione dei CEO è da tempo al centro di un ampio dibattito. Da un lato, si spera che queste metriche possano migliorare la sostenibilità aziendale; dall’altro, sussistono timori riguardo ai potenziali rischi per la performance finanziaria delle imprese.

Su questi temi ha concentrato l’attenzione la Banca D’Italia con l'”Occasional PaperESG metrics in CEO compensation: incentives and sustainability in the major EU economies nella linea “Questioni di Economia e Finanza“. (Il report di Banca D’Italia è disponibile in versione integrale QUI n.d.r.).

Lo studio presenta un’analisi comparativa dell’adozione della remunerazione legata a fattori ESG nelle aziende quotate delle principali economie dell’Unione Europea come Francia, Germania, Italia e Spagna, tra il 2018 e il 2022.

Utilizzando un set di dati raccolti manualmente, lo studio illustra l’ampia diffusione di questa pratica, la sua proporzione rispetto alla remunerazione totale, le metriche che comprende e la sua struttura. Inoltre, il report esamina i tassi di conseguimento degli obiettivi ESG (e finanziari) da parte dei CEO e l’impatto sull’andamento economico delle imprese, fornendo una prospettiva empirica cruciale sul dibattito.

Che ruolo svolge la a Direttiva sui Diritti degli Azionisti?

La Direttiva sui Diritti degli Azionisti II (SHRD II) ha rappresentato un passo significativo, promuovendo un approccio più a lungo termine alla componente variabile della remunerazione e collegando l’engagement degli azionisti alla ricerca non solo di obiettivi a lungo termine, ma anche di obiettivi di sostenibilità.

Questa direttiva segna un chiaro allontanamento dalle tendenze passate, spostando l’attenzione dal successo a breve termine verso obiettivi a lungo termine e ponendo una maggiore enfasi sui fattori che vanno oltre la mera massimizzazione del valore per gli azionisti, promuovendo una più forte responsabilità sociale d’impresa.

L’Articolo 9a(6) di SHRD II, come modificato, stabilisce linee guida specifiche, prevedendo che la remunerazione debba contribuire alla sostenibilità dell’azienda e che, in caso di retribuzione variabile, la società debba “indicare i criteri di performance finanziari e non finanziari, includendo, ove appropriato, criteri relativi alla responsabilità sociale d’impresa“. È cruciale notare che la SHRD II ha conferito al concetto di sostenibilità un significato autonomo e distinto dagli obiettivi di lungo termine della società, allineando gli interessi dei direttori non solo con quelli degli azionisti ma anche con quelli degli stakeholder.

Come sta cambiando la corporate governance in funzione di una remunerazione CEO allineata all’ESG?

Parallelamente alle direttive europee, anche i codici di corporate governance nazionali in Francia, Germania, Italia e Spagna hanno incoraggiato attivamente la considerazione dei fattori ESG nella progettazione dei pacchetti retributivi. Il potere persuasivo di questi codici risiede nel meccanismo del “comply-or-explain” (rispetta o spiega), al quale le aziende devono generalmente conformarsi per essere quotate in borsa. Questo crea un imperativo legale e sociale per le aziende di adottare le migliori pratiche, inclusa l’integrazione di criteri ESG.

Che ruolo ha svolto la “soft law” nella diffusione di una remunerazione legata all’ESG?

Grazie a queste spinte normative e di “soft law”, la diffusione della remunerazione legata a fattori ESG è aumentata costantemente tra il 2018 e il 2022. Se nel 2018 solo circa il 25% delle aziende includeva la performance ESG come fattore nella retribuzione variabile dei CEO, nel 2022 questa percentuale è salita a quasi il 90%. In Italia, la quota di aziende che prevedono fattori ESG nella remunerazione variabile è leggermente inferiore (82,5%) rispetto ad altri paesi, ma le aziende italiane stabiliscono in media più obiettivi (3,3 metriche). In generale, il numero medio di metriche lungo le quali i CEO vengono valutati si aggira intorno a tre per azienda.

Questo aumento è un indicatore di un impegno più ampio verso la promozione della sostenibilità, sebbene un numero ridotto di metriche possa anche suggerire un approccio focalizzato su obiettivi facili da raggiungere, potenzialmente guidato da sole motivazioni di marketing.

Questo cambiamento potrebbe suggerire una crescente consapevolezza dell’importanza delle questioni ambientali e sociali, che sono spesso meglio misurate su orizzonti temporali più lunghi, e un tentativo di incentivare i CEO non solo per risultati ESG immediati, ma per impatti sostenibili a lungo termine. L’Italia si distingue come il paese con la quota più alta di aziende che prevedono incentivi a lungo termine legati a fattori ESG, raggiungendo quasi il 70%.

Come è cambiato nel tempo il peso dei fattori ESG?

Anche il peso dei fattori ESG in relazione alla remunerazione complessiva è aumentato. Nel 2018 le metriche ESG rappresentavano circa il 13% della compensazione variabile a breve termine e meno del 20% di quella a lungo termine. Entro il 2022, queste cifre sono salite rispettivamente al 18% e al 22%. Sebbene queste variazioni percentuali possano non sembrare particolarmente significative in termini relativi, sono rilevanti considerando la vasta adozione (crescita sul margine estensivo). Di conseguenza, la remunerazione totale legata ai fattori ESG è aumentata drasticamente. Questa maggiore diffusione, unita all’aumento del peso specifico, ha portato a un incremento sostanziale della componente ESG nella remunerazione complessiva.

In quali settori è più diffusa la pratica di una remunerazione dei CEO agganciata all’ESG?

In termini settoriali, le aziende del settore delle utilities sono quelle che legano la quota maggiore della remunerazione sia a breve che a lungo termine ai fattori ESG, mentre gli altri settori mostrano similitudini relative.

Quali sono le metriche ESG più utilizzate?

La progettazione degli obiettivi è fondamentale per valutare l’efficacia delle metriche ESG. Il report distingue le metriche in due categorie:

  • Metriche quantitative: Misurazioni basate su dati numerici che riflettono la performance del CEO rispetto a specifici fattori ESG (es. riduzione emissioni GHG, miglioramento della diversity & inclusion, punteggi di conformità governance). Sono chiaramente definite e oggettivamente misurabili.
  • Metriche qualitative: Valutazioni di aspetti non numerici del contributo del CEO agli obiettivi ESG (es. ruolo nel promuovere una cultura sostenibile, iniziative di corporate social responsibility, promozione della governance etica). Si basano su valutazioni soggettive, feedback degli stakeholder o valutazioni interne.

Perché si è passati da metriche qualitative a metriche quantitative?

Nel 2018, quasi tutte le metriche ESG erano qualitative, mentre nel 2022 la maggioranza è diventata quantitativa, con la sola eccezione della Spagna, dove i parametri qualitativi e quantitativi sono quasi equivalenti. Nonostante il significativo aumento delle metriche quantitative, questo progresso è temperato dalla crescita nell’uso di dichiarazioni totalmente generiche e difficili da valutare.

Analizzando i settori di attività, emergono differenze significative:

  • Le aziende del settore industriale presentano meno metriche e un equilibrio quasi paritario tra metriche qualitative e quantitative.
  • Le aziende ICT sono all’altro estremo, con oltre tre metriche, quasi sempre quantitative.
  • Le aziende finanziarie prevedono quasi tre metriche, ma molte di esse sono qualitative.
  • Le aziende di utilities si affidano maggiormente agli indicatori quantitativi.

Il fatto che le aziende industriali, che si prevede siano particolarmente interessate dalle questioni ESG, presentino meno indicatori e più qualitativi, potrebbe suggerire che i fattori ESG vengano scelti da aziende che già performano bene, anziché essere un catalizzatore per il cambiamento.

L’importanza di definire obiettivi chiari nelle politiche di remunerazione

Un aspetto critico è che anche quando le aziende adottano metriche ESG quantitative, non sempre stabiliscono obiettivi chiari nelle loro politiche di remunerazione dei CEO. Senza obiettivi precisi, è difficile responsabilizzare le aziende per la loro performance ESG. Sebbene nella maggior parte dei paesi la maggioranza delle metriche quantitative preveda anche obiettivi, l’Italia è il paese in cui è più comune non prevedere target, mentre in Germania questi sono stabiliti nella maggior parte dei casi.

Le politiche di remunerazione dei dirigenti delle aziende dell’UE non considerano tutte le diverse categorie di stakeholder, ma si concentrano su aree specifiche. Questi risultati sono coerenti con le pratiche negli Stati Uniti e a livello globale.

Gli obiettivi più comuni adottati in tutti i paesi sono:

  • Riduzione delle emissioni di CO2: Questo è l’obiettivo più diffuso e significativo, in quanto direttamente collegato a un miglioramento operativo con un impatto positivo sugli stakeholder e sulla performance economica, specialmente se l’Accordo di Parigi sarà pienamente implementato. Esiste un chiaro “business case” per la riduzione delle emissioni di carbonio.
  • Diversità e inclusione: È un altro obiettivo ampiamente adottato, in particolare in Italia e Francia.
  • Categoria “altro”: Questa categoria, che comprende una serie di misure specifiche dell’azienda (ambientali, sociali o di governance), è molto diffusa in ogni paese.

Come si stanno muovendo le grandi aziende?

Analizzando i temi trattati dalle metriche ESG per settore, si riscontra una maggiore omogeneità all’interno dei settori che tra i paesi. Questo suggerisce che le grandi aziende confrontano le proprie pratiche retributive con quelle dei concorrenti e selezionano le metriche ESG in base a caratteristiche specifiche del settore.

  • Le aziende ICT e finanziarie si concentrano maggiormente su diversità e inclusione, il che può essere interpretato come una tattica per competere sul mercato del lavoro e una strategia di miglioramento del valore.
  • Le aziende ICT si concentrano maggiormente anche sulla riduzione delle emissioni di carbonio, che è la metrica più adottata anche dalle aziende industriali e di utilities.
  • Le aziende finanziarie sono quelle che si affidano maggiormente alla categoria “altro”, in particolare ad “altro ambientale”. Non è chiaro se ciò sia indice di promesse ambientali vaghe (greenwashing) o se corrisponda al ruolo che gli intermediari possono svolgere nella transizione verde, come fornitori di finanza e servizi finanziari piuttosto che inquinatori diretti.

Cosa succede se si superano gli obiettivi?

Nel 2022, per entrambi i tipi di obiettivi – finanziari ed ESG – la stragrande maggioranza delle aziende ha raggiunto pienamente i propri obiettivi, spesso superandoli. Le aziende tedesche hanno il tasso di raggiungimento più basso, pur rimanendo elevato. I CEO possono comunque ricevere una compensazione parziale anche se non raggiungono pienamente i loro obiettivi, e possono essere sovracompensati se li superano.

Questo quadro, così “roseo”, porta alla conclusione che gli obiettivi di performance erano poco impegnativi al momento della loro fissazione. Di conseguenza, gli schemi di incentivazione a breve termine assomigliano più a una forma di remunerazione fissa che variabile, con la variazione che riguarda principalmente l’overperformance.

  • Per quanto riguarda gli obiettivi di performance finanziaria a breve termine, questi risultati mettono in discussione l’assunto convenzionale alla base dei modelli di retribuzione dei CEO, che considerano la retribuzione come un fattore incentivante.
  • Per i fattori ESG, un tasso di conseguimento così elevato indica che le metriche non sono sfidanti per i CEO. La conseguenza è probabilmente che non comportano alcun cambiamento significativo nel percorso di sostenibilità e nel miglioramento del benessere degli stakeholder. Ciò suggerisce che gli obiettivi ESG sono, al meglio, limitati a casi “win-win”, dove il successo ESG non ostacola il successo economico.

Agganciare la remunerazione dei CEO all’ESG fa bene alle aziende

I risultati dell’analisi sono chiari: non si registra alcun peggioramento degli indicatori di performance economica (fatturato, produttività, redditività e numero di dipendenti) all’aumentare della remunerazione legata a fattori ESG. Anzi, la performance economica mostra un leggero miglioramento, seppur statisticamente insignificante. Questo dato, che si basa su metriche contabili a livello aziendale e non su metriche dei mercati finanziari, sembra contraddire i timori dei teorici dei costi di agenzia.

Questa evidenza, tuttavia, è soggetta a molteplici interpretazioni (non mutuamente esclusive), simili a quelle relative al tasso di conseguimento degli obiettivi:

  • Un successo sul fronte ESG potrebbe anche contribuire al successo finanziario dell’azienda.
  • Gli obiettivi ESG potrebbero essere totalmente poco impegnativi e quindi non richiedere alcuna modifica al modello di business, suggerendo fenomeni di greenwashing.
  • I CEO potrebbero facilmente dedicare parte della loro attenzione alle questioni di sostenibilità senza ostacolare la performance economica dell’azienda.

I risultati indicano che l’incremento della remunerazione ESG non è correlato a un deterioramento della performance aziendale. Tuttavia, contemporaneamente, le metriche ESG non si sono dimostrate sufficientemente sfidanti, con la probabile prevalenza di fenomeni di “cherry-picking” e greenwashing. Sebbene l’evidenza non sia definitiva, essa solleva dubbi sull’efficacia effettiva della remunerazione dei CEO nel promuovere una reale e profonda sostenibilità. Se il sistema attuale non compromette le prestazioni economiche delle aziende, la sua capacità di agire come un potente motore di cambiamento sostenibile rimane da confermare.


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